Gentile Onorevole Fava,
desidero porre alla Sua sensibilità ed attenzione un argomento che mi sta molto a cuore e a cui ho dedicato particolare interesse e impegno nel corso della mia attività istituzionale: il benessere e le pari opportunità per le donne.
Sembra anacronistico che ancora oggi, nella nostra società -nazionale e locale- evoluta e ben regolamentata da leggi significative e paritarie, le donne siano costrette a richiedere ed affermare principi e diritti per il loro benessere. la realtà dimostra e impone però di farlo poiché il sessismo e le discriminazioni nei confronti delle donne sono molto diffusi e avvengono quotidianamente in ambito lavorativo, sociale, politico, istituzionale, medico, intrafamiliare e l’attuazione dei principi di uguaglianza, di opportunità e di non discriminazione tra donne e uomini è ancora ben lontana dal suo concretizzarsi.
Per non parlare dei casi di violenza e dei femminicidi. Tutto ciò offendendo la dignità della donna, nonché ignorando e calpestando anni di lotte e di battaglie sociali per la conquista di diritti, dignità, parità di genere e autodeterminazione. Le donne, infatti, sono ancora penalizzate nelle cariche pubbliche e nei processi decisionali, nel mondo della cultura, dello sport e del lavoro e, anche nella nostra Regione, facendo una valutazione di quelli che sono gli effettivi servizi e strutture a sostegno delle donne, come per esempio gli asili nido, le sezioni di scuola materna, i servizi integrati per l’infanzia, i servizi territoriali per le persone anziane, i consultori, si riscontrano molte lacune e criticità. Ciò rende molto difficile alle donne la conciliazione dei tempi di lavoro e di impegno sociale con quelli di cura della famiglia e dei familiari, visto che il compito della cura è ancora oggi quasi esclusivo della donna.

Questa penalizzazione la riscontriamo anche in caso di perdita dei posti di lavoro. E i dati forniti dall’ISTAT parlano chiaro: rispetto all’occupazione, a dicembre 2020, in conseguenza alla crisi dovuta alla pandemia, su 101mila posti lavoro persi 99 mila sono stati femminili.
Proprio perché i settori più colpiti sono stati quelli degli alberghi, del turismo, della ristorazione, dei servizi di accudimento alla persona, tutti settori a prevalente occupazione femminile, non per propria scelta ma per scelta di una società ancora d’impronta fortemente patriarcale, che ancora oggi sceglie in base al genere chi debba assolvere alle mansioni di accudimento. Così quando si deve tagliare una risorsa o decidere chi deve lasciare il lavoro in famiglia è “facile” capire a chi spetti fare un passo indietro: alla donna.
Per questo sono necessarie politiche per la creazione di nuove infrastrutture sociali e di cura destinati all’infanzia, alle persone con disabilità, alle persone anziane e non autosufficienti, in modo che la donna possa alleggerirsi dei suoi “obblighi di cura” e possa ritornare ad essere protagonista della propria vita, della propria autonomia ed autodeterminazione sociale, politica, culturale ed economica.
Questi dati confermano una situazione allarmante e grave che, se non attenzionati e ribaltati, inevitabilmente accresceranno le disuguaglianze e riporteranno le donne ad uno stato di sottomissione sociale ed economica.
Così come sui temi della salute, la prevenzione e la cura delle malattie non viene pienamente declinata nella diagnosi e nella cura che tenga conto delle differenze derivanti dal genere, al fine di garantire la qualità e l’appropriatezza delle prestazioni erogate dal Servizio Sanitario Nazionale in modo omogeneo sul territorio nazionale. Ciò, nonostante nel 2019 sia stato adottato il Piano per l’applicazione e la diffusione della Medicina di Genere, previsto dall’articolo 3 della Legge 3/2018, che, tenendo conto delle differenze biologiche, delle condizioni socio economiche e culturali e della loro influenza sullo stato di salute e di malattia, potesse assicurare a donne e uomini le stesse opportunità di cura e assistenza, e nonostante ad oggi sia operativo l’Osservatorio Nazionale sulla medicina di genere che ha sede presso l’ISS (Istituto Superiore Sanità). Per Medicina di Genere, infatti, si intende lo studio dell’influenza delle differenze biologiche, socioeconomiche e culturali, lo stato di salute e di malattia di ogni persona.

Invece, le politiche sanitarie nazionali e locali, sono improntate ad una gestione di opportunismo economico come, per esempio, rispetto a particolari interventi di prevenzione di fenomeni di maltrattamento e abuso sessuale o di politiche per combattere la violenza contro le donne.

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Scritto da:

Katia Orlando

Consigliera Comunale di Palermo con Sinistra Comune