Non potevo certo immaginare che durante l’esperienza di consigliera comunale mi sarei trovata a votare un piano di riequilibrio, il provvedimento cioè che evita il dissesto finanziario del Comune di Palermo.
Pensavo che sarei stata chiamata a dare il mio contributo istituzionale per elaborare gli strumenti di programmazione economica-finanziaria come i bilanci di previsione, che sono il luogo dove la collettività, per il tramite degli organi che la rappresentano, si confronta per trovare una sintesi politica capace di ospitare le diverse istanze, in modo da garantire da un lato l’articolazione e la progressiva attuazione del programma sindacale, dall’altro “praticare un percorso istituzionale” capace di migliorarlo accogliendo nuove domande, in un continuo confronto tra maggioranza e minoranze.
Invece, da subito mi sono dovuta confrontare con bilanci rigidi, praticamente non modificabili, perché ostaggio del paradigma dell’equilibrio di bilancio, figlio del patto di stabilità che oggi – finalmente – a livello europeo, ma non per i comuni, è stato temporaneamente sospeso.
E, quindi, per gli enti locali le sessioni di bilancio si sono trasformate in una routine amministrativa.
La crisi dei comuni viene da lontano, dal passaggio – voluto dal federalismo fiscale – da un’economia locale sostenuta prevalentemente da trasferimenti nazionali e regionali, a quello attuale che dispone il finanziamento con risorse proprie, cioè con tributi comunali e dal progressivo inasprimento delle percentuali di accantonamento.
Un affanno dato soprattutto – come dicevo- da un impianto legislativo, normativo e contabile che negli ultimi 20 anni ha limitato fortemente l’autonomia degli Enti locali mortificando la loro capacità di fornire servizi alla propria comunità, e infatti, in diversi casi raggiunto il punto di rottura, lo Stato è dovuto intervenire per evitare il disastro, come ad esempio il decreto “Salva Roma”.
La scarsa capacità di riscossione è il problema del nostro comune: a Palermo circa il 50% dei contribuenti non paga le tasse locali, dalla Tari alle multe della Polizia Municipale, un dato per tutti: il valore complessivo dei crediti non riscossi al 31.12.2020 ammonta a € 1.192.995.024,97. Un dato insostenibile.
E’ evidente che la mancata riscossione produce squilibri di bilancio, l’amministrazione comunale facendo ricorso all’anticipazione di tesoreria, nonostante subisca tanti troppi debiti fuori bilancio è riuscita, in questi anni così difficili, a garantire comunque l’erogazione dei servizi, quando il relativo costo dovrebbe essere finanziato, secondo la normativa attuale, fondamentalmente con gli incassi dei tributi.
Pagare le tasse è un dovere etico, la scarsa capacità di riscossione dei Comuni del sud può essere superata solo se il legislatore nazionale rivede l’intero sistema tributario e le modalità di riscossione.
È molto importante sapere – per fare chiarezza – che Palermo non rischiava il defoult a causa di debiti, ma come detto per crediti non riscossi, perché l’evasione locale è troppo forte; l’unico Comune d’Italia – tra quelli interessati alla manovra di riequilibrio – a non essere praticamente indebitato.
Anche per questo il dissesto sarebbe stata una beffa dato che è uno strumento non adeguato alle criticità del Comune di Palermo.
E’ bene ricordare che il Riequilibrio è stato possibile perché il governo nazionale, consapevole che i problemi delle città si riversano su tutto il Paese, ha ritenuto necessario scongiurare il default per Palermo, ma anche per Torino, Napoli e Regio Calabria. Il dissesto dei Comuni italiani è una piaga per il Paese, in Sicilia sono circa 200 a non avere approvato ancora i bilanci di previsione e quindi in una grave condizione di disequilibrio.
La legge di bilancio ha stanziato per Palermo 189 milioni di euro da erogare in vent’anni ed in cambio ha chiesto la stesura di un Piano di riequilibrio che prevedesse alcune azioni inderogabili, tra queste l’aumento dell’addizionale Irpef, che non è stata quindi messa così a caso.
Un aumento, quello dell’addizionale Irpef, fortemente condizionato dall’entità dei trasferimenti nazionali.
Ma l’attuale situazione economica, grave, ha posto il Consiglio comunale davanti una scelta: salvare l’Ente, votando il Piano di riequilibrio o andare in dissesto, cioè dichiarare il fallimento.
Senza alcuna leggerezza ho votato per il riequilibrio, per salvare la mia città dalle conseguenze terribili portate dal dissesto e dalla consapevolezza che Palermo si potrà rialzare solo se accompagnata in questo processo di riequilibrio.
Trovo utile ricordare che l’amministrazione Cammarata con i suoi assessori e consiglieri, alcuni dei quali ancora presenti in Sala delle Lapidi e che hanno gridato allo scandalo, aumentò del 75% la vecchia Tarsu e quadruplicò l’Addizionale IRPEF, dallo 0,2% del 2002 al 0,4% nel 2009 e al 0,8% nel 2012, arrivando alla massima aliquota possibile per legge, con l’aggravante che a quei tempi il servizio rifiuti si finanziava in parte con il tributo TARSU, ma per la maggior parte con i trasferimenti nazionali, cosa adesso non più possibile, dato che oggi il servizio si finanzia esclusivamente con il gettito proveniente dalla TARI e quindi, a causa della patologica scarsa riscossione, con altri fondi comunali.
Roma ha pure richiesto, e correttamente, una riorganizzazione della macchina amministrativa.
Per il nostro comune – caratterizzato – come pochi, forse l’unico, da una massiccia presenza di lavoratori stabilizzati a tempo parziale, la riorganizzazione deve essere realizzata prioritariamente attraverso l’aumento delle ore lavorative del personale, cosa che ritengo dovuta per i lavoratori da anni in part-time, e fondamentale affinché l’amministrazione possa garantire uno standard normale di servizi, da anni sempre più depauperati.
Alcuni numeri: nel 2022 il personale in servizio sarà di 5000 unità, nel 2023 di 4833 e nel 2024 di 4656. Nel 2020 le unità in servizio erano 6223, di cui solo 3.696 a tempo pieno!
Ad oggi n. 455 unità cat. A sono stabilizzate a 26 ore settimanali; n. 1.269 cat. B sono stabilizzate a 25 ore sett.; n. 436 cat. C sono stabilizzate a 23 ore sett. e n. 108 unità Cat. D a 20/22 ore sett.
Con la manovra di riequilibrio si è invece autorizzato il progressivo aumento dell’orario settimanale di queste unità: a 30 ore nel 2022, a 32 ore nel 2023, a 34 nel 2024 e finalmente raggiungeranno il tempo pieno (36 ore) nel 2025.
Giusto per avere un’idea di cosa comporti un dissesto: elevazione di tutte le entrate comunali al massimo consentito, contenimento di tutte le spese, tra cui quelle del personale, per i quali si applica la mobilità per sopraggiunto esubero, liquidazione del patrimonio non utilizzato per l’espletamento delle funzioni istituzionali, immediata vendita delle quote della GESAP perché la normativa non le considera un investimento strategico per i Comuni, accensione di un mutuo a carico del bilancio comunale, e altro per cinque anni senza possibilità di fare alcun correttivo.
Il Piano di riequilibrio, che tra l’altro dovrà essere approvato dalla Commissionane Nazionale e dalla Corte dei Conti prima di essere applicato, è invece uno strumento modificabile, monitorato dal Ministero; infatti l’addizionale Irpef, dopo l’aumento dei primi due anni, verrà ridotta gradualmente.
Ora chiedo a chi ha avuto la pazienza di leggere sin qui: di fronte al bivio dissesto/riequilibrio, tenendo conto di quanto sin d’ora esposto, quale palermitano avrebbe preferito fare fallire la propria città?
A conferma che chiunque, responsabile e con a cuore le sorti della città, chiamato ad esprimersi sull’argomento non possa augurarsi il dissesto offro un elemento: il numero dei consiglieri che avrebbe votato favorevolmente l’atto era 14, solo 14 su 40, e questo era un dato conosciuto sin da subito. Bastava quindi che tutti gli altri dell’opposizione fossero rimasti in Aula e avessero votato NO per non far passare l’atto. Avrebbero anche potuto far cadere il numero legale lasciando l’Aula fino allo scoccare della Mezzanotte, e far scadere quindi il termine massimo stabilito dal Governo per presentare l’atto e attivare il relativo iter. Invece no, parte dell’opposizione è uscita assicurandosi che rimanesse il numero legale e quella rimasta, 8 in tutto, si è astenuta eccetto 1. Questo perché tutti fuori e dentro l’Aula, eccetto 1, volevano che il Piano fosse approvato, sia perché è il provvedimento corretto per un Comune sovra accreditato e meno oneroso per i cittadini che perché è nota a tutti l’impossibilità di governare in fase di dissesto, e siccome tutti ambiscono a guidare la città nel 2022 si sono assicurati che il voto fosse favorevole senza esporsi. Giochi d’Aula, li chiamano.
Non è facile decifrare il “linguaggio politico” di oggi, comprendere tra urla, offese alla persona e comunicazioni social superficiali, compulsive e artatamente costruite; non è semplice conoscere e comprendere le carte nella loro complessità, me ne rendo conto. Per questo –ancora una volta- invito a fare uno sforzo di informazione e analisi, prima di lanciare strali contro qualcuno/a che, senza alcuna leggerezza, è chiamato a compiere una scelta in un momento così delicato per la comunità.

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Scritto da:

Katia Orlando

Consigliera Comunale di Palermo con Sinistra Comune