Un’altra morte in un Centro di Permanenza e Rimpatrio, stavolta a perdere la vita è Musa Balde di 23 anni originario della Guinea, si è impiccato con le lenzuola del suo letto.

Mi chiedo se quando avviene una morte in queste circostanze si possa parlare ancora di suicidio e non istigazione al suicidio, cioè la definizione “politicamente corretta” di omicidio.

La storia è brutalmente semplice: il 9 maggio Musa Balde viene aggredito, a Ventimiglia, violentemente a colpi di spranghe, bastoni e tubi di plastica.

A scatenare la violenza sarebbe stato il tentato furto del telefonino di uno dei tre aggressori all’interno di un vicino supermercato. La vittima viene portata in ospedale a Bordighera, dimessa con una prognosi di 10 giorni, raggiunge il CPR in attesa dell’espulsione.

Il Cpr di Torino, nel quale viene portato Musa, è stato al centro delle polemiche già nel luglio del 2019 a seguito della morte di Faisal Husseini, un ragazzo bengalese morto in isolamento sanitario. Una scomparsa avvenuta in circostanze mai chiarite, complice il celere rimpatrio dei testimoni che denunciavano condizioni da abbandono sanitario da parte di medici, forze dell’ordine ed ente gestore.

Come riporta l’agenzia Pressenza, nel CPR di Torino ci sono ancora moltissimi problemi, non ultima la gestione della salute psicologica dei pazienti. Risultano moltissime le resistenze da parte di chi gestisce la struttura ad una corretta gestione medica della salute mentale e psicologica.

Risulta che ci sia una visita ogni 15 giorni da parte di un medico del Dipartimento di Salute Mentale, e non risulta che gli psichiatri del DSM accedano direttamente alle aree per sincerarsi delle condizioni dei trattenuti, né che possano accedere a loro discrezione al CPR qualora lo ritengano necessario.

Ove gli addetti (con nessuna competenza medica) si accorgono che un trattenuto abbia problemi di tipo mentale, lo segnalano e il trattenuto viene confinato nel famigerato “ospedaletto”, l’area paradossalmente più lontana dalla palazzina nella quale vengono svolte le visite.

Sembra che a pesare di più sulla morte di Musa Bande sia stata di più un’ottusa burocrazia che l’analisi della persona e della sua psiche, Musa è diventato un numero di protocollo da gestire e di cui disfarsi in un “non luogo” in mano allo Stato.

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Scritto da:

Katia Orlando

Consigliera Comunale di Palermo con Sinistra Comune